LE PROBLEMATICHE SOTTESE ALL’OMESSO VERSAMENTO DEL CONTRIBUTO MANTENIMENTO DIVORZILE EX ART. 12 SEXIES L. 898/1970
Il reato di mancata corresponsione dell’assegno divorzile regolamentato dall’art. 12 sexies della L. 898/1970 (articolo aggiunto alla legge dall’art. 21 L. 74/1987) sanziona automaticamente la semplice omissione del versamento dovuto. Come noto l’articolo in questione recita quanto segue: “ al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione dell’assegno dovuto a norma degli articoli 5 e 6 della presente legge si applicano le pene previste dall’art. 570 del cod. pen.”.
Dalla lettura del testo risulta evidente la mancanza di qualsiasi riferimento ad una componente soggettiva della condotta, il che si pone in netto contrasto con il principio di personalizzazione della responsabilità penale, principio che trova la propria fonte direttamente nell’art. 27.1 Cost..
La giurisprudenza di legittimità in più di un’occasione ha ribadito l’automatica sanzionabilità dell’omesso versamento (Cass. Pen., sez. VI, n°35553/2011; Cass. Pen., sez. VI, n°45273/2008) affermando infatti che il reato si configura a prescindere dalla prova dello stato di bisogno dell’avente diritto (Cass. Pen., sez. VI, n°3426/2009; Cass. Pen., sez. VI, n° 39938/2009). Quest’ultima affermazione in particolare, comporta inevitabilmente la configurazione di una punibilità oggettiva del reato, il che si pone in aperto contrasto con l’ordinamento costituzionale. Inoltre, l’irrilevanza dello stato di bisogno dell’avente diritto comporta il sorgere di un’ulteriore quesito: quale bene giuridico tutela il reato in questione, se lo stesso non viene identificato nello stato di necessità?
Si deve forse ritenere che il bene tutelato sia il semplice corretto e tempestivo pagamento dell’assegno divorzile?
Tuttavia, come spesso accade nell’ambiente giuridico è la stessa Corte di Cassazione a contraddire la propria posizione, affermando per converso che la responsabilità penale viene meno nel caso in cui venga fornita la rigorosa prova della situazione di bisogno del soggetto obbligato e la correlata prova della sua condizione di impossibilità di adempiere. Si aggiunge poi che tale condizione di incapacità economica assoluta non deve comunque essere determinata da una condotta colposa del soggetto stesso (Cass. Pen., sez. VI, n° 45273/2008).
Con quest’ultima pronuncia la Corte di Cassazione, apre parzialmente la strada al riconoscimento della rilevanza di una componente soggettiva nel reato in questione. Tuttavia, la sussistenza di orientamenti contraddittori e la mancanza di pronunce delle Sezioni Unite, rendono difficoltoso l’affermarsi di una posizione univoca.
Sicuramente la soluzione più idonea auspicherebbe un intervento legislativo al fine di rendere il testo del reato più aderente al principio personalistico, tenuto conto il carattere estremamente rigido della norma che è stato certamente determinato anche dal periodo storico nel quale la norma stessa è stata emanata. La novella che ha introdotto l’art. 12 sexies è stata aggiunta dall’articolo 21 della legge 6 marzo 1987, n. 74, periodo nel quale la visione negativa del divorzio era ancora fortemente diffusa nell’opinione pubblica, con il tentativo di introdurre una forte tutela nei confronti del coniuge debole, attraverso una rigida repressione penale della condotta.
Di fatto una tutela penale di una obbligazione civile.
Un’ulteriore precisazione sulla condotta prevista dalla norma in analisi, sul quale invece si registra una posizione unanime della giurisprudenza, attiene al fatto che il reato in questione si configura anche nel caso di un inadempimento parziale, non essendo riconosciuto all’obbligato un potere di adeguamento dell’assegno in revisione della determinazione fattane dal giudice (Cass. Pen., sez. VI, n° 37079/2007; Cass. Pen., sez. VI, n° 35553/2011; Cass. Pen., sez. VI, n°45273/2008).
Il rinvio all’art. 570 c.p. dell’art. 12 sexies L. 989/1970
Il testo dell’art. 12 sexies prevede un richiamo espresso alla disciplina dell’art. 570 c.p. per quanto riguarda le pene da applicare. Tuttavia, si pone subito una questione: si deve ritenere che il richiamo si riferisca esclusivamente alle pene da applicare, come sarebbe più immediato ipotizzare dal linguaggio usato, o invece si deve ritenere che si riferisca all’intero sistema sanzionatorio dell’art. 570 c.p., ricomprendendo quindi tutte le regole di carattere procedurale?
Il problema non è di secondaria importanza, dato che dalla soluzione dipendono tutta una serie di questioni, tra cui anche la procedibilità del reato in questione. E’ noto che l’art. 570 c.p. per quanto riguarda l’assegno di mantenimento in sede di separazione preveda un diverso sistema di procedibilità a seconda che l’assegno sia destinato ai figli minori o inabili al lavoro, oppure al coniuge, essendo prevista nel primo caso, (in ragione anche della necessità di una maggiore tutela nei confronti dei figli) una procedibilità d’ufficio, mentre nel secondo una procedibilità a querela della persona offesa (tenendo conto del fatto che la mancanza di un interesse di quest’ultima alla punibilità della condotta, può determinare un venir meno anche dell’interesse dello Stato a reprimere tale comportamento).
Su tale problema la giurisprudenza di legittimità ha assunto nel tempo posizioni tra loro contradittorie, prediligendo a volte la soluzione in base alla quale il richiamo dell’art. 12 sexies riguarderebbe esclusivamente le pene da applicare, con la conseguenza di una procedibilità sempre d’ufficio, senza però fornire valide ragioni al riguardo (Cass. Pen., sez. VI, n°12309/2012); altre volte invece ha sostenuto che il richiamo in questione debba operare per l’intero regime sanzionatorio previsto dall’art. 570 c.p. (Cass. Pen, sez. VI, n° 21673/2004; Tribunale di Trieste, n°720/2011).
Recentemente la stessa Corte di Cassazione chiamata a pronunciarsi a Sezioni Unite su una questione diversa da quella qui in esame (cioè se il generico richiamo dell’art. 12 sexies si riferisca unicamente alle pene del primo comma o anche a quelle del secondo dell’art. 570 c.p.) si è anche espressa in via incidentale sul tema della procedibilità. La Corte, pur registrando l’esistenza di pronunce di segno contrario, si è limitata, optando per la procedibilità d’ufficio, a prendere atto che tale posizione è quella sostenuta dalla giurisprudenza maggioritaria.
Tuttavia, tale soluzione presenta una serie di problemi di fondo.
Innanzitutto, il fatto che la questione principale demandata fosse un’altra, porta ragionevolmente a dubitare del rilevante valore della pronuncia stessa, anche se emessa dalle Sezioni Unite. Infatti, come è possibile rilevare dalla lettura del testo della sentenza stessa, la questione della procedibilità è stata semplicemente citata, senza effettuare alcun adeguato approfondimento in merito.
In secondo luogo, la Corte limitandosi a prendere atto dell’orientamento giurisprudenziale maggiormente diffuso, non ha fornito in relazione alla soluzione scelta alcuna valida argomentazione. Semplicemente, ha ribadito che il reato previsto dall’art. 12 sexies deve ritenersi procedibile d’ufficio, poiché il rinvio operato dall’articolo stesso si riferirebbe esclusivamente al trattamento sanzionatorio, e non anche al comma 3 dell’art. 570 c.p., il quale in deroga al principio generale, prevede la procedibilità a querela, salvo in casi specifici (Cass. S.U., n° 23866/2013).
A parere di chi scrive invece, la soluzione opposta appare certamente come la più corretta, innanzitutto, perché come già detto precedentemente, la soluzione delle Sezioni Unite non poggia su valide ragioni argomentative, in secondo luogo perché si conforma maggiormente con il principio del favor rei, prevedendo una procedibilità d’ufficio solo nel caso di mantenimento nei confronti dei figli minori, ed una procedibilità a querela della persona offesa nel caso di mantenimento nei confronti del coniuge, data la minor gravità di quest’ultima condotta. In questo modo, si realizza sicuramente un sistema più attento alla tutela del reo, prevedendo una punibilità a querela per condotte meno gravi.
La sentenza della Cassazione a Sezioni Unite sopra citata, presenta ulteriori aspetti che meritano maggiore approfondimento. Come sopra riportato, la questione principale riguardava la possibilità di applicare all’art. 12 sexies oltre le pene previste dal comma 1 dell’art. 570 c.p., anche quelle previste dal comma 2, tuttavia, fra i due casi sussiste una rilevante differenza, in quanto nel comma 1 la multa e la pena detentiva sono tra loro alternative, mentre nel comma 2 sono cumulative.
La Corte nella sua argomentazione parte dal presupposto che l’art. 12 sexies delinea una fattispecie di reato autonoma rispetto all’art. 570 c.p., mentre quest’ultimo ai commi 1 e 2 configura due diverse fattispecie di reato, di cui solo quella prevista dal primo si pone in una posizione di affinità con l’art. 12 sexies.
Secondo tale interpretazione il reato previsto dal comma 1 si configura tutte le volte in cui un soggetto viola i doveri di assistenza materiale di coniuge e genitore, previsti dalle norme del codice civile. Diversamente, il comma 2 tutela i vincoli di solidarietà nascenti dal rapporto di coniugio (attenuati nel caso di separazione) che si sostanziano nel non far mancare i mezzi di sussistenza necessari. Quindi, se nel primo caso abbiamo a che fare con la violazione di obblighi materiali, nel secondo invece, la punibilità della condotta non può prescindere da una valutazione sullo stato di necessità dell’avente diritto.
Tale rapporto di affinità, unito al principio del favor rei, in base al quale si dovrebbe applicare solo il regime sanzionatorio più mite, vale a dire quello previsto dal comma 1, giustifica secondo la Corte la soluzione sopra riportata. Inoltre, sempre in applicazione del favor rei, il giudice nel scegliere quale pena applicare al caso concreto, dovrebbe, sempre secondo la Corte, optare per la multa, essendo la più favorevole al reo.
Non si può non notare, a parere di chi scrive, come la soluzione scelta dalla Corte di Cassazione, al di là delle motivazioni giuridiche, parte prevalentemente dallo scopo di mitigare gli effetti penali di una fattispecie di reato che, così come delineata dalla giurisprudenza stessa per quanto attiene la questione della punibilità e della procedibilità, appare estremamente rigida. Tale scelta, anche se determinata da ragioni morali più che valide, lascia profondamente insoddisfatti per quanto riguarda l’argomentazione strettamente giuridica, se si considera inoltre che potrebbe facilmente essere superata attraverso una corretta risoluzione dei problemi a monte, che renderebbe superflua la necessità di mitigare gli effetti negativi della fattispecie.
Tra gli effetti negativi non si può tralasciare la contraddittorietà che viene a realizzarsi da un punto di vista pratico. Infatti, in questo modo il soggetto che pone in essere il reato considerato dalla giurisprudenza più grave, ossia l’omesso versamento dell’assegno divorzile, può rischiare di essere sottoposto, attraverso l’applicazione del favor rei, esclusivamente alla pena della multa, mentre il soggetto che pone in essere la stessa condotta in sede di separazione (condotta considerata meno grave) può rischiare la multa, la detenzione o addirittura entrambe le pene.
Confronto con il reato di omesso versamento dell’assegno di separazione
Risulta certamente utile ai fini di un’analisi completa sul reato di mancata corresponsione dell’assegno divorzile un confronto con l’analoga fattispecie di reato prevista in sede di separazione, regolata dalla L. 54/2006.
Da un punto di vista logico e materiale le due condotte sono praticamente identiche fra loro, differenziandosi esclusivamente per il fatto che una di esse attiene al divorzio e l’altra alla separazione. Tuttavia, tale condizione di uguaglianza non si riscontra invece per quanto attiene il regime giuridico da applicare ai due diversi reati.
Una differenza già esaminata attiene alla questione della procedibilità, anche se, come già visto, in merito non si registra attualmente una posizione univoca.
Ulteriore questione attiene ai presupposti necessari per la configurabilità del reato. Infatti, come è già stato detto più volte, per quanto riguarda l’assegno divorzile è sufficiente l’inadempimento non essendo necessario fornire ulteriore prova, mentre per quanto concerne l’assegno in sede di separazione è necessario operare una suddivisione: nel caso di assegno a favore dei figli, a seguito del richiamo operato dall’art. 3 L. 54/2006 allo stesso art. 12 sexies L. 898/1970, si ritiene non siano necessari ulteriori accertamenti oltre il mancato versamento; diversamente, per quanto attiene l’assegno a favore del coniuge si ritiene che si debba applicare la disciplina prevista dall’art. 570 c.p., di conseguenza sarà necessario provare che l’omissione abbia effettivamente fatto venir meno i mezzi di sussistenza del coniuge beneficiario.
In sintesi si deve allora prendere atto del fatto che l’attuale disciplina prevede il requisito dello stato di necessità esclusivamente per l’omesso versamento dell’assegno di separazione nei confronti dei figli, mentre per lo stesso assegno a favore del coniuge e per l’assegno divorzile sia verso i figli che verso il coniuge, è sufficiente il mancato adempimento.
E’ evidente chetale soluzione non possa trovare valide ragioni di esistenza. Mentre un trattamento più rigido per l’assegno a favore dei figli rispetto a quello nei confronti del coniuge, può sicuramente essere giustificato in ragione dei diversi interessi in gioco (sostentamento dei figli e sostentamento del coniuge) non si vede perché debba prevedersi un regime più rigido per l’assegno divorzile rispetto a quello in sede di separazione. Difficilmente, a parere di chi scrive, si potrebbe giustificare la diversità sulla base delle diverse finalità dei due regimi, nel caso della separazione una situazione temporanea per vedere se sia possibile reintegrare il rapporto matrimoniale, mentre nel caso di divorzio, una definitiva cessazione del matrimonio stesso. Infatti, anche se gli scopi sono diversi, da un punto di vista pratico gli effetti sono i medesimi, cioè un’interruzione temporanea o definitiva della vita matrimoniale.
Sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale, assumendo posizione totalmente opposta, la quale a fronte di una supposta illegittimità costituzionale in relazione all’art 3, dichiara che la disparità di trattamento è giustificata dal fatto che, mentre il soggetto separato si trova in qualche misura ancora giuridicamente legato al coniuge, trovandosi in un periodo nel quale la legge gli consente di riflettere sulla possibilità di riprendere o far cessare definitivamente il coniugio, diversamente il soggetto divorziato ha già scelto di “liberarsi” da un rapporto coniugale fallito. A parere della Corte, tali differenze giustificherebbero un regime sanzionatorio maggiormente repressivo, per quanto attiene il divorzio (Corte Cost. n° 472/1989; Corte Cost. n° 325/1995).
Motivazione che ritenere non adesiva alla realtà è quanto mai lusinghiero.
In conclusione, vediamo quindi che fra le due fattispecie di reato sussistono diversità giuridiche che a parere di chi scrive non trovano alcuna valida giustificazione argomentativa, data anche la somiglianza delle situazioni concrete che vengono trattate. Una modifica legislativa, posta in essere al fine di elidere tali differenze, in favore di un regime analogo per le due fattispecie, appare certamente la soluzione più adatta. In assenza di tale operazione, ci si augura comunque che la giurisprudenza attuale, non rimanga insensibile a tali questioni, ma che operi interventi tesi a ridurre tali divergenze, come in parte avvenuto anche se non ancora in via definitiva, per quanto concerne la questione della procedibilità.
giurisprudenza di merito Tribunale di Rimini sent. 1232/2014 del 20.05.2014
Recentemente il Tribunale di Rimini, a patrocinio del sottoscritto difensore, si è nuovamente pronunciato su una questione attinente il tema che qui ci impegna.
La vicenda vedeva coinvolto il signor M., marito della signora R., il quale era imputato per omesso versamento dell’assegno divorzile al coniuge.
Nel corso del processo era stata presentata una remissione di querela da parte della persona offesa, la quale era stata accettata dall’imputato. Nonostante ciò, il processo si è comunque concluso con un’assoluzione nel merito del signor M..
Il giudice nella propria decisione è partito dal presupposto che il reato previsto dall’art. 12 sexies L. 898/1970, costituisce una fattispecie autonoma rispetto a quella prevista dall’art. 570 c.p., nei confronti del quale opererebbe unicamente un richiamo in relazione alle pene da applicare. Tuttavia, successivamente ritiene condivisibile la tesi della Cassazione relativa al rinvio dell’art. 12 sexies all’art. 570 c.p. per l’intero regime sanzionatorio, ivi compresa la procedibilità (già citata Cass. 21673/2004).
Verosimilmente nell’interpretazione del giudice l’art. 12 sexies, dovrebbe prevedere un reato autonomo, la cui disciplina tuttavia riprenderebbe integralmente quella prevista dall’art. 570 c.p., soluzione questa che sembrerebbe ulteriormente confermata nel proseguo della motivazione, dove il giudice sostiene la non colpevolezza dell’imputato per difetto dell’elemento soggettivo, requisito che come è noto dovrebbe essere del tutto assente nell’art. 12 sexies, ma invece compreso nell’art. 570 c.p..
Si può quindi ragionevolmente ritenere che nel citare l’orientamento giurisprudenziale che sostiene l’operabilità del richiamo all’intero regime sanzionatorio, il giudice abbia in realtà inteso tale richiamo operante per l’intera disciplina dell’art. 570 c.p., tra cui quindi anche i requisiti di colpevolezza.
Pur rilevando la volontà del giudicante di “porre rimedio” alle storture normative sopra richiamate, non si può sottacere che tale interpretazione risulta difficilmente giustificabile anche adducendo una possibile ampia estensione al richiamo operato dall’art. 12 sexies.
Ciò anche per il semplice fatto che il giudicante ben rappresenta di aderire alla tesi “minoritaria” comportante in rinvio dell’art. 12 sexies all’art. 570 c.p. sia in relazione alla pena che alla procedibilità.
Di conseguenza, non si comprende per quale valida ragione, il giudice abbia analizzato la questione nel merito, poiché essendo stata presentata nel caso di specie una rimessione di querela accettata dall’imputato, l’organo giudicante avrebbe dovuto limitarsi a prendere atto della mancanza di una condizione di procedibilità e dichiarare “non doversi procedere” per intervenuta remissione di querela.
In conclusione, anche al fine di permettere una maggior armonia giuridica nelle motivazioni di merito e non porre nelle comprensibili condizioni il giudicante di solcare improbe strade di diritto per ricondurre ad equità la farraginosa normativa, si rende necessario un intervento normativo che elimini la dicotomia tra l’art. 12 sexies e l’art. 570 c.p..
Dott. Danilo Angelini Avv. Cristian Brighi